La nostra rubrica "Una strada, tante storie" (in collaborazione con il maresciallo Giuseppe Giusto, grazie al suo volume "Trani, tante strade, tanta storia" edito dalla tipografia Landriscina nel 2003 per il C.R.S.E.C.) prosegue con Giovanni Boccaccio.
Tratto dall’ultimo numero de Il Giornale di Trani
La rubrica culturale che ci vede fieri partecipi della collaborazione del maresciallo Giuseppe Giusto e dell’associazione Obiettivo Trani, ritorna su queste pagine con nuova vitalità. Cercheremo d’ora in poi di parlarvi di personaggi o eventi legati alla nostra città e che in quest’anno festeggiano o ricorre un anniversario.
Questa volta vi parliamo di Giovanni Boccaccio, nato nel 1313 e quindi ben 700 anni fa. Ma cosa avrebbe a che fare lo scrittore e poeta italiano nato e morto a Certaldo (provincia di Firenze) con la nostra ridente cittadina di mare?
A lui è dedicata una via della nostra città che intercorre tra via G. Pappolla e Largo C. Goldoni, già “7° strada a denominarsi”. Recentemente è stata purtroppo scenario del delitto del rigattiere Tommaso Gallo, omicidio per il quale non è stato trovato alcun colpevole.
Tralasciando la notizia di cronaca, ritorniamo alle note di toponomastica e di cultura. La via dedicata a Boccaccio rientra tra le tante strade dedicate a scrittori e poeti famosi, nelle vicinanze vi è Largo Goldoni (già citato), via Giovanni Pascoli e via Giovanni Verga.
L’opera più famosa del toscano Boccaccio (1313 – 1375), è il “Decamerone”, scritta tra il 1349 ed il 1353. Il Decameron (dal greco δἐκα, déka, "dieci", ed ἡμέρα, hēméra "giorno") è una raccolta di cento novelle che si erge a fondatrice della letteratura in prosa in italiano volgare. Herman Hesse ha detto: “per chi trae diletto da una lingua viva e bella, leggere il Decamerone non è dissimile dal vagare tra alberi in fiore e bagnarsi in acque purissime”.
La narrazione è guidata da un gruppo di giovani, sette donne e tre uomini, che trattenendosi fuori città per quattordici giorni (il titolo indica i dieci giorni in cui si raccontano le novelle e non i quattro in cui ci si riposa), per sfuggire alla peste nera, che imperversava in quel periodo a Firenze (1348), raccontano a turno delle novelle di taglio spesso umoristico.
Tra le novelle narrate in quest’opera ve n’è una che traccia un filo rosso con la nostra città: si tratta della quarta novella della seconda giornata. Questa novella parla di un tal Landolfo Rufolo di Ravello. Landolfo era un ricco commerciante di Ravello, una cittadina della Costiera amalfitana e, benché ricchissimo, aveva il profondo desiderio di raddoppiare i suoi averi. Decise, così, di comprarsi una grossa nave, la riempì di mercanzie e salpò alla volta di Cipro. Arrivato a destinazione, Landolfo dovette svendere la merce a causa della concorrenza sfrenata. Non voleva, però, tornare a casa senza alcun guadagno.
Decise allora di vendere la sua nave e con i soldi guadagnati comprò una nave corsara più piccola, con la quale iniziò a fare pirateria, attività con cui riuscì ad accumulare il doppio dei soldi con i quali era partito. Il viaggio però gli riservava ancora vicende sfortunate con le quali avrebbe dovuto lottare con dedizione, virtù e Fortuna. Lungo il viaggio di ritorno una tempesta lo costrinse a ripararsi nell’insenatura di un’isola, dove erano già ancorate due enormi navi genovesi. Gli equipaggi delle due navi lo derubarono e lo fecero loro prigioniero. Il giorno dopo, il tempo migliorò e le navi genovesi ripresero il loro viaggio ma verso sera tornò la tempesta e l’imbarcazione in cui era tenuto prigioniero Landolfo affondò.
Il commerciante, per salvarsi la vita, si aggrappò ad una cassa che prima aveva ripetutamente allontanato. Grazie ad essa riuscì ad approdare sull’isola di Corfù dove una donna lo portò nella sua casa e si prese cura di lui. Dopo qualche giorno Landolfo, recuperate le forze, pensò che poteva ritornare verso casa. Per sdebitarsi con la donna che lo aveva soccorso decise di regalarle la cassa di legno, ma prima la aprì per vedere il suo contenuto. Con suo grande stupore scoprì di esser nuovamente ricchissimo: la cassa conteneva un’infinità di pietre preziose.
Chiesto alla donna un panno nel quale poter porre le pietre, “recatosi suo sacco in collo, da lei si partì: e montato sopra una barca, passò a Brandizio e di quindi marina marina si condusse infino a Trani, dove trovati de’ suoi cittadini li quali eran drappieri, quasi per l’amor di Dio fu da lor rivestito, avendo esso già loro tutti li suoi accidenti narrati, fuori che della cassa; ed oltre a questo, prestatogli cavallo e datagli compagnia, infino a Ravello, dove del tutto diceva di voler tornare, il rimandarono”.
Boccaccio fa dei tranesi una popolazione accogliente e cordiale nei confronti dello sfortunato (sino ad allora) Landolfo. Una volta giunto a Ravello vendette tutte le pietre che trovò nella cassa, guadagnando il doppio del denaro con cui era partito. E decise di mandare parte del guadagno alla donna di Corfù che lo aveva salvato e “il simigliante fece a Trani a coloro che rivestito l’aveano” mentre i denari rimasti li tenne per sé senza più mercanteggiare, vivendo onorevolmente fino alla fine.
Ed onorevolmente Trani potrà ricordare di essere stata citata in una delle opere più importanti della letteratura italiana.
d.d.
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