Quale relazione intercorre tra la nostra Città e le Murge? Perchè il Parco avrebbe importanti ripercussioni soprattutto a Trani? La risposta risiede in motivazioni prettamente geologiche. Dopo aver completamente sfruttato il sottosuolo locale, le industrie di trasformazione del marmo hanno in seguito cominciato a coltivare cave nei bacini di Apricena, Fasano e, appunto, Ruvo e Minervino. Dalle aree estrattive di questi due comuni si ricava il 70 per cento circa della materia prima da trasformare. Con l’istituzione del Parco, pertanto, l’industria della trasformazione, prevalentemente costituita da aziende tranesi, si troverebbe in palese difficoltà . Trani, secondo polo marmifero nazionale dopo Carrara, può contare, anche grazie all’apporto di aziende di Andria, Bisceglie, Corato, su circa 130 aziende di trasformazione che danno lavoro ad almeno 4000 persone tra diretto e indotto. La previsione degli addetti ai lavori è che, qualora passi l’attuale progetto di parco, gran parte di questi lavoratori restino immediatamente disoccupati. L’obiettivo, quindi, è che le Istituzioni vogliano riconsiderare la portata del Parco: «È bene premettere che siamo favorevoli al parco – ci disse sin dallo scorso mese di febbraio, quando per primo questo giornale sollevò il problema a livello locale, il presidente dell’Assindustria Provinciale, Sezione Marmi, Umberto Cormio – ma questo dev’essere pensato, e quindi perimetrato, con responsabilità , facendo attenzione a non compromettere attività di rilevante importanza che, tra l’altro, verrebbero a colpire drasticamente le economie dei comuni compresi all’interno e all’esterno del parco, Trani su tutti». Di istituzione del parco si comincia a parlare con la legge quadro in materia di aree protette n. 394 del 1991: la prima previsione di estensione è di circa 70mila ettari, dovendo interessare la vera e propria "alta" Murgia, ossia quella più interna e meno pianeggiante. Nel 1993 una conferenza di servizi a livello regionale si pone l’obiettivo di perimetrare il parco, sulla base della legge quadro, nella misura di 90mila ettari. Nel 1997 la Regione Puglia pensa di istituire un’area (L.R. n. 19 del 24 luglio ’97) che abbracci ben 14 comuni per un’estensione complessiva di circa 140mila ettari: ne sarebbe nato il più grande parco d’Europa. Quello regionale è diventato a tutti gli effetti un atto di indirizzo nei riguardi dello Stato, ufficialmente deputato a istituire parchi nazionali. Quello dell’Alta Murgia nasce a tutti gli effetti con il Decreto Legislativo n. 426 del 9 dicembre ’98. Da quel giorno, così come stabilito dalla già citata legge quadro, partiva un periodo di 180 giorni, ampiamente disatteso dalla Regione, per provvedere alla perimetrazione dell’area. La perimetrazione più pronosticabile, in ogni caso, è quella intermedia (i circa 90mila ettari concepiti nel ’93), che secondo gli industriali farebbe chiudere almeno 43 cave all’interno dell’area, oltre quelle delle fasce di rispetto ai confini del Parco. Gli industriali, a sostegno delle loro ragioni, adducono due riferimenti legislativi precisi. Il primo è la legge 37/85, che ha disposto il ripristino delle cave dismesse da effettuare a carico delle aziende previa fidejussione bancaria da depositare all’atto dell’apertura del sito. L’altro è il Prae (Piano Regionale Attività Estrattive), una sorta di Prg delle cave che la Regione Puglia è tenuta ad addottare ma che, anche in questo caso, da anni mantiene "congelato".
Un problema che viene da lontano
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