«Se sono qui ringrazio Fellini e il destino»: fra vita e carriera, Pupi Avati si racconta al Beltrani

Un magistrale narratore, prima ancora che regista. Eppure da grande avrebbe voluto fare il musicista. Pupi Avati, 85 anni il prossimo 3 novembre, raccontando a Palazzo Beltrani con leggerezza, spensieratezza ed autoironia la sua vita e carriera artistica, ha posto in evidenza quanto talvolta episodi e dettagli facciano la differenza, ma tutto questo rientri evidentemente in un destino che ciascuno è anche bravo a costruirsi.

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Una serata d’autore a cura del Comune di Trani, sul palco della sempre più ambita corte Davide Santorsola, totalmente gremita da spettatori condotti dal regista emiliano in un percorso sospeso tra emozione, suggestione e divertimento.

Un dialogo con il regista e sceneggiatore, Fabrizio Corallo, maestro nel mettere a proprio agio i suoi interlocutori, per ripercorrere il ricco percorso artistico di Pupi Avati e dei suoi successi tra cinema, tv e l’altra sua grande passione, la musica con il suo inseparabile clarinetto.

Infatti, Pupi nasce come clarinettista ma poi conosce Lucio Dalla e, suonando con lui, si accorge di quanto indietro sia rispetto a quel giovanotto che avrebbe cambiato la storia della musica. Scherzosamente racconta di avere provato a lanciarlo giù dalla Sagrada familia, a Barcellona, ma in realtà ne nutre tanta ammirazione al punto da sospendere a tempo indeterminato le riprese di un film alla notizia della sua morte: «Era davvero troppo avanti e ne sentiamo ancora oggi la mancanza».

Dalla musica al cinema passando per Otto e mezzo, il capolavoro di Federico Fellini: Avati va a vederlo in una sala durante una pausa di lavoro e ne resta folgorato. Così mette insieme una squadra di amici per provare a formare un primo gruppo di lavoro per girare un film. Partono le candidature, ma pochi rispondono e qualcuno anche male come Flaiano: «Non scrivetemi più».

Fra gli attori Villaggio sembra snobbarlo e Tognazzi apprezzarlo, e qui il destino ci mette lo zampino. Ugo parte mettendosi in valigia il copione sbagliato, che è proprio quello di Avati. Lo legge e ne resta a sua volta stregato: da lì a poco partono le riprese de La mazurka del barone, della santa e del fico fiorone.  È il punto di svolta di una carriera cinematografica fatta di oltre 50 film, tre David di Donatello e sette Nastri d’argento.

Immancabile il cenno ad una Puglia «meravigliosa» che ha regalato ad Avati due pregevoli film: I cavalieri che fecero l’impresa, con Raoul Bova, girato a Barletta; La seconda notte di nozze, con una sorprendente Katia Ricciarelli vincitrice del Nastro d’argento quale migliore attrice protagonista.

Pupi Avati scherza e si diverte con un brillantissimo Fabrizio Corallo che, prima che intervistatore, è suo amico. Ma più volte il regista gli chiede di avvisarlo quando manchino tre minuti al termine della conversazione: quel momento arriva e lui utilizza quel tempo restante per descrivere la vita con la metafora della collina.

«Nel momento in cui si scollina la persona che sta camminando guarda avanti e si intristisce perché deve ridiscendere – fa notare il regista -. Poi si volta indietro e trova conforto perché l’ascesa è stata stupenda. Ed allora – deduce Avati fuor di metafora -, quando il piacere del ricordo prevale sulla tristezza del futuro, si fa largo una vecchiaia dolorosa e struggente nella quale, però, non riemerge la nostalgia della gioventù, ma dell’infanzia: tutti vorremmo proprio tornare bambini e lasciare il mondo come tali».

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