"Benedetto Ronchi, l’amico"

"Non potevo fermarmi per la Morte. Essa, benigna, si fermò per me. Il cocchio conteneva noi due sole. E l’Immortalità". Sono alcuni versi che la poetessa americana Emily Dickinson (1830 – 1886) ha dedicato al tema della morte. Ogni parola, ogni verso, ogni immagine hanno un senso in queste righe. L’uomo non ha tempo per fermarsi a pensare e ad aspettare la morte. Il suo sostare, allora, accanto a noi non è una maledizione ma un segno di amore. Perchè la morte ci conduce per mano su un cocchio e, una volta seduti, ci accorgiamo che un’altra ospite si è già insediata davanti a noi. È l’Immortalità. È indiscutibile che questi versi sono una testimonianza di speranza sicura e ferma. Una speranza che l’annunzio cristiano ribadisce nelle parole di S. Paolo (1 Tessal. 4,14): "Noi crediamo che Gesù è morto e risuscitato; così anche quelli che sono morti, Dio li radunerà per mezzo di Gesù insieme con Lui". Non è, certo, nelle possibilità degli uomini rendere immortale chicchesia, anche quando dichiariamo eterna la memoria poichè l’immortalità appartiene all’Eterno, ma è pur vero che un tentativo lo facciamo quando qualcuno o qualcosa riesce ad entrare nella storia come esemplare da tramandare alle future generazioni perchè soprattutto si impossessino di valori, di insegnamenti e di esempi validi per tutti i tempi e per tutti gli uomini. L’esuberante personalità di Benedetto Ronchi ci consente di inserirlo nella lunga teoria di personaggi tranesi che lungo i secoli, vincendo l’usura del tempo, hanno dato lustro alla nostra città. Ma, per attenermi all’ambito assegnatomi, io questa sera devo ricordarlo nella sua umanità in forza di una amicizia che ci legò senza discontinuità dalla, ahimè, breve stagione della prima giovinezza fino alla sua dipartita o, meglio, fino alla sua immissione nella Immortalità dello spirito e nella memoria storica della umanità. Come possono dimenticare i suoi amici, me compreso, l’abituale sorriso gioviale e permanente con cui si presentava, in ogni incontro, con sempre una "battuta" intelligente e scherzosa che dava subito "tono" e creava atmosfera nell’incontro? Lo stare assieme con lui arrecava la gioia di esperimentarsi affratellati nel profondo. Difatti la comunione d’amicizia è un linguaggio che – quasi inconsapevolmente – si diffonde nell’interiorità profonda, e che poi affiora spontaneamente in parole e gesti esteriori. Non è possibile vivere l’amicizia in modo differente da quello che uno è. L’amicizia vera è la rivelazione di quello che siamo nel nostro "io" più profondo. Ma c’è di più: la sapienza antica è andata eleborando la concezione dell’amicizia come virtù attraverso modalità culturali diverse: Omero, Solone, Pitagora, Socrate, Platone hanno tutti trattato dell’amicizia con riflessioni diverse. Ma la sua intuizione primaria è la prospettiva della amicizia come virtù. Basta essere virtuoso per essere buon amico; noi precisiamo che l’amicizia non è da considerare quale realtà a sè stante, ma quale spirito che anima implicitamente tutti gli altri comportamenti. Ci illumina in ciò la precisazione del grande Tommaso D’Aquino, che riprendendo il discorso aristotelico, afferma che l’amicizia è un modo amabile che caratterizza l’intero stato virtuoso: "una conseguenza della virtù, più che una virtù". Ebbene, cari amici, scusandomi con voi di questa divagazione, vi dirò che alla luce di quanto premesso, dovuto a risultati di studi fatti negli anni della nostra maturità, oggi, riflettendo sul passato, possiamo affermare che l’amicizia che con Benedetto Ronchi convivemmo gioiosamente scaturiva ed era sostenuta, nella sua ininterrotta continuità, da un patrimonio di virtù che il Nostro possedeva in "nuce" per natura e che rivelò e seppe accrescere negli anni. Incontrarsi e trattenersi con lui era piacevole, perchè era dotato di una intelligenza metodica nel ragionare, chiara nell’intuire; possedeva salde convinzioni morali, fondate su cristiane certezze, con le quali tutta la sua vita, meditativa quanto operosa, serbò costante, intatta coerenza. Di costume dignitoso, ma non mai umbratile, alieno dall’esibizione, incapace d’intemperanza; il suo parlare sempre corretto, moderato nell’arguzia di battute sagaci e anticonformiste; privo di sguaiataggine; puntuale negli adempimenti, ricco di slanci interiori, sempre disponibile alle richieste di aiuto di ogni genere. Con tutti Benedetto Ronchi fu amico leale e generoso. Da studente prima, da universitario poi e negli anni successivi alla laurea, non ebbe mai bisogno di sollecitazioni e di richiami, poichè i suoi studi li compì con vivo interesse culturale e apprezzata efficacia. Nella pratica professionale e negli affetti familiari rivelò una dirittura ed una integrità esemplari. Dotato di una umiltà profondamente cristiana, non fu questa disgiunta da una dignità altamente umana, sempre in consonanza con la letizia e con la pena altrui. Cari amici, Benedetto Ronchi insieme ai suoi condiscepoli e a noi coetanei, anche se molti sono ormai scomparsi dalla scena di questa vita, sono (e siamo!) rappresentanti ed espressione di una Scuola, a me sempre più cara, dove tutti e tutto – Maestri, sistemi e strutture – educava ed esortava alla serietà, all’impegno, alla consapevolezza, alla acquisizione degli eterni valori dello spirito, ma nulla costringeva all’ipocrisia; una Scuola nella quale il rapporto tra noi e i nostri Maestri era regolato dalla vicendevole fiducia e nessuno di noi presunse mai di negare o disconoscere, quella Scuola, nè mai imparò a odiarla, nonostante il costo dei tanti sacrifici e fatiche sostenute. Quella della nostra Scuola fu senz’altro una stagione lieta e tuttavia non spensierata, operosa e costruttiva, ma non angosciata dalla diffidenza nè illusa e sommossa da miraggi avventurosi. Cari compagni del nostro Liceo, dei quali molti hanno assunto nella vita compiti di nobile e difficile impegno, confermando la validità dell’apprezzamento che di loro aveva dato la Scuola con libero e severo giudizio; e tanti, forse troppi!, sono già caduti lungo le vie del successo; e tutti, i morti e i viventi, hanno accettato con dignitosa fermezza la propria quota di letizia e di dolore; siate tutti benedetti per il bene che avete operato e diffuso per il mondo ad esemplare edificazione e incoraggiamento ai vostri figli e alle generazioni succedentisi. Possano i giovani d’oggi e del tempo futuro attingere, attraverso la vostra memoria, forza e incoraggiamento dalla preziosa riserva del vostro esempio e delle vostre fatiche. Cari amici, aiutiamo i nostri giovani a sentirsi responsabili custodi di un patrimonio culturale, storico e artistico che i vostri Padri ci hanno trasmesso; una partita non lieve è costituita dagli studi e dalle opere di Benedetto Ronchi: che non siano dimenticate! che siano approfondite e poste a fondamento di ulteriori ricerche perchè Trani diventi sempre più faro di luminoso richiamo per la sua arte, la sua cultura, la sua storia, la sua civiltà: è questo il voto (l’auspicio mio) che scaturisce dalla memoria di Benedetto Ronchi e le sue opere. Ma, diciamolo pure con franchezza, questi studi – che esigono tempo e impegno – vanno stimolati, incoraggiati e sostenuti non soltanto e non tanto a parole, ma con aiuti concreti con borse di studio e altri validi aiuti economici da parte della Pubblica Ammistrazione e di Enti pubblici e privati, altrimenti ogni migliore intenzione, ogni saggio auspicio e voto si identificherà in una solenne ed evanescente presa in giro. Nessuna cosa muta da sè, se non ci mette mano l’uomo. Il mondo è nelle nostre mani e sarà sempre come lo vogliamo noi. Ma, intendiamoci, noi Tranesi non siamo chiamati a cambiare il mondo, ma dobbiamo soltanto migliorare il progresso, l’avvenire e la storia di Trani, se lo vogliamo e se non restiamo miopi e sordi. Concludo. Amici, una delle tante sagge sentenze di Cicerone ("De Republica" 3, 25. 37) proclama una verità preziosa anche per i nostri giorni: "Alterius non sit qui suus esse potest" – "Non appatenga ad un altro chi può appartenere a se stesso". Quanto sottili e malvage sono anche oggi (è da ipocriti non riconoscerlo!) le reti dei condizionamenti che legano la nostra libertà senza che ce ne accorgiamo. Ebbene, rievocando stasera la figura di Benedetto Ronchi, ritroviamo anche noi, sul suo esempio e nei momenti di dubbio e di incertezza, la capacità di "appartenerci" attraverso la riflessione, il giudizio ben formato, la coscienza vigile, il consiglio sapiente. Temiamo la superficialità, il luogo comune, la massificazione, l’opinione e il potere dominante. Restiamo, costi quel che costi, uomini liberi nel pensiero, nelle scelte e soprattutto nella coscienza illuminata e guidata dalla Verità. Grazie.

pubblicità
pubblicità

LASCIA UN COMMENTO

Per favore inserisci il tuo commento!
Per favore inserisci il tuo nome qui

Questo sito usa Akismet per ridurre lo spam. Scopri come i tuoi dati vengono elaborati.